Nella fantasia dei suoi lettori è “l’uomo delle mimose”, in realtà Francesco Biamonti non ha mai curato le mimose per mestiere, per quanto vivesse – quello sì, per davvero – a San Biagio della Cima. Oggi in quel territorio di Ponente, caratterizzato dall’aspra e rocciosa bellezza dei luoghi estremi e raccontato con pennellate di parole, colori e sensazioni dallo scrittore, esiste il Parco Biamonti, a lui dedicato con lo scopo di allestire un vero e proprio itinerario interattivo che copra i luoghi vissuti e narrati da Francesco Biamonti nei suoi romanzi.
Autore immerso nel paesaggio inteso come poetica e concezione letteraria, quella di Biamonti è una produzione letteraria tardiva, affiorata in età adulta dopo i periodi trascorsi tra Francia e Spagna, prima dell’attività di bibliotecario all’Aprosiana di Ventimiglia. Quattro i romanzi che lo consacrarono, editi da Einaudi con il prestigioso avvallo di Italo Calvino: L’angelo di Avrigue, del 1983, Vento Largo, del 1991, Attesa sul mare, uscito nel 1994, e Le parole la notte, del 1998. Una produzione concentrata, e per questo forse ancora più fulgida e preziosa. Sono racconti immersi nel respiro del territorio, fatti di un paesaggio che oltre che rurale diventa anche storia dell’uomo.
Vicino all’idea di Parco letterario, il progetto del Parco Biamonti ha l’obiettivo di rifarsi alle parole dello scrittore per rivalutare il territorio e il paesaggio particolare di San Biagio della Cima e del Ponente, cogliendo quei significati e valori che si nascondono tra le campagne e il borgo, in un paesaggio capace di incentivare, oggi, un nuovo sviluppo rurale e sociale della comunità.
Muretti a secco, vigne, cantine e tronchi di ulivo: è in questi spazi che si leggono i segni dell’antica civiltà rurale ed è lì che trova il suo habitat la poesia di Biamonti. Nel dialogo serrato tra gli spazi reali e le pagine si inserisce il progetto del parco, con la sua mappa letteraria online (disponibile su www.parcobiamonti.it) e con incontri e visite “tra il paese e il paesaggio”. Si succedono così la Porta della Madonna, i carruggi della letteraria Avrigue, il carruggio a Svolte, e poi l’uliveto, gli ovili la Pila del Corvo, quasi come se rileggendo gli spazi, percorrendoli di persona, non ci fosse più una linea di confine tra le parole scritte e i luoghi vissuti.
Alessandra Chiappori